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L'autore si proietta nella situazione di un malato di cancro, fino alla fase terminale, immaginando che gli accadesse di avere un tumore e narrando come avrebbe reagito. Il protagonista del racconto, credente, proprio in forza della speranza che la vita non finisca nel nulla, 'relativizza' l'ostinazione nell'attaccamento alla vita terrena, e si spinge a ritenere l'eutanasia attiva, in un malato terminale, non un'offesa a Dio, non un 'buttargli in faccia" il dono della vita, ma solo come un sofferto anticipare il suo 'incontro' con Lui o... col 'Grande Forse', come a volte pensano anche molti non credenti... Potrà il racconto contribuire a rasserenare quelli che, malati o loro familiari (credenti o non credenti), si trovino a vivere un tale travaglio, generalmente caratterizzato da domande angosciose e incontrollabili sensi di colpa? Ad essi e dedicato il presente racconto...